mercoledì 3 dicembre 2008

Passando ad esaminare aspetti più propriamente finanziari dell’assicurazione possiamo osservare come essa sia una attività industriale dotata di una particolare peculiarità, gli incassi dei premi precedono, nel tempo, gli esborsi del capitale assicurato: un ciclo produttivo inverso dovuto, appunto, dal pagamento anticipato dei premi rispetto all’esecuzione della prestazione genera rilevanti disponibilità liquide destinate ad investimenti regolamentati dall’Autorità di vigilanza. In genere nelle imprese accade esattamente l’opposto: l’imprenditore prima acquista i beni e le materie prime, poi le lavora e produce i beni, poi, vendendo i beni recupera le somme spese per l’acquisto delle materie prime e per i costi di produzione. L’imprenditore assicuratore è invece depositario di somme che sono destinate al futuro ed aleatorio pagamento di capitali al verificarsi dell’evento fortuito assicurato. Questa caratteristica fa sì che la Compagnia assicuratrice possa considerarsi, in una visione ideale, un insieme costituito da tre diverse attività d’impresa: quella assicuratrice in senso stretto, quella dell’azienda di credito ed infine di quella finanziaria: la prima è delegata a gestire nei rami danni e vita la quota di premi necessaria per liquidare i sinistri o le prestazioni di competenza; la seconda svolge l’attività di una vera e propria banca, cioè la capitalizzazione delle residue quote di premi nell’intento di ricavarne il massimo risultato economico possibile; la terza, infine gestisce le disponibilità finanziarie che traggono origine dal patrimonio libero della Compagnia e che non sono collegate agli impegni di debito o credito nei confronti dei contratti di assicurazione.
Per tutto ciò appare chiaro che l’impresa assicuratrice svolge una importante funzione di intermediazione finanziaria, da una parte collettore di risparmio, dall’altra investitore istituzionale di notevole consistenza.
In assicurazioni l’aspetto più tecnico e caratterizzante è quello prettamente matematico. L’assicurato e l’assicuratore fanno una “scommessa equa” su un evento che interessa l’assicurato: valutata la probabilità di questo evento il contraente-assicurato paga un premio quale corrispettivo dell’impegno dell’assicuratore di liquidare un certo importo se l’evento, nei modi e nei tempi convenuti, si verificherà. Ed è chiaro che il “premio” risulterà inferiore, anche molto inferiore rispetto all’importo posto a carico dell’assicuratore, poiché la probabilità del verificarsi dell’evento che fa scattare la liquidazione dell’importo è generalmente abbastanza piccola.
Dicevamo una scommessa equa. L’equità del premio dell’assicurazione è commisurata alla probabilità dell’evento ed all’ammontare del capitale assicurato. Se da questa visione individuale si passa a quella collettiva, della gestione dei premi nel loro complesso, l’impostazione in termini di equità condurrà in base a fondamentali teoremi della probabilità, ad un sostanziale equilibrio fra i premi incassati dall’assicuratore ed i pagamenti a cui è tenuto. Al di là dell’ampiezza di tale problematica il concetto di equità sta proprio nell’equilibrio, in presenza dell’incertezza, fra premi e pagamenti (fra i quali devono essere inclusi quelli di relativi alle spese di gestione dell’attività assicurativa).
Nell’equità non si potrà fare a meno di calcolare ciò che rappresenta una delle colonne portanti del business assicurativo: il conferimento di “sicurezza” al meccanismo di equilibrio. Ciò significa che si dovrà provvedere alla tutela dell’assicuratore contro il pericolo di possibili gravi perdite che lo porterebbero al fallimento, così come alla tutela dell’assicurato che dal fallimento dell’assicuratore vedrebbe compromessa la certezza del risarcimento. Ciò comporta, quindi un supplemento di premio, un “caricamento” di sicurezza con cui i matematici hanno dato risposte scientifiche al problema che riguarda la stabilità della gestione assicurativa: sono state elaborate teorie che giustificano la necessità di “caricamenti di sicurezza” e ne fissano la misura.
Nello specifico le imprese assicuratrici, anche nel rispetto delle normative di legge, dovranno non solo ricorrere alla costituzione di “riserve tecniche”, cioè di somme accantonate per il pagamento dei sinistri nel caso in cui si verifichino gli eventi assicurati, definite “riserva matematica” nel caso del ramo vita e “riserva premi” nel caso del ramo danni, ma anche alla stipulazione di contratti di “riassicurazione” stipulati con apposite compagnie, dette Compagnie di Riassicurazione, nel conseguimento del principio di polverizzazione del rischio: il rischio assunto dalla compagnia viene riassicurato a sua volta con altra compagnia con la medesime modalità del pagamento a quest’ultima di un premio e con la garanzia di ottenere una quota di risarcimento in caso di sinistro. Naturalmente le formule sono molteplici ed assai complesse e danno vita ad un “mercato” riassicurativo nel quale si scambiano innumerevoli contrattazioni in cessione ed in acquisizione. In assenza di riassicurazione nessun grande rischio potrebbe trovare copertura.
La scienza che si occupa di tutti questi aspetti è la scienza attuariale la quale si avvale di due grossi filoni di studio, quello probabilistico e quello finanziario. La figura, generalmente poco nota, che si occupa professionalmente di tali problemi è l’”attuario”: non è un generico studioso della materia, bensì un appartenente ad uno specifico ordine professionale, l’Ordine degli Attuari. Vi si accede, dopo la laurea in scienze statistiche ed attuariali, con il superamento di un esame di Stato di abilitazione all’esercizio della professione.

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