domenica 21 dicembre 2008

Traggo spunto dal post letto nel blog della collega Katia Bassan in relazione alle forme di e-learning per fare un commento: come mai?
Perche la settimana scorsa ho giusto concluso il ciclo di formazione "obbligatoria" previsto dalle normative di legge in tema di aggiornamento professionale degli "intermediari" erogata anche a mezzo e-learning, oltre che in presenza, dalla compagnia di cui sono agente.
Chi sono gli intermediari?
Sono tutti quei soggetti che si trovano materialmente ad interagire con l'utente finale per conto di una compagnia di assicurazioni o di un istituto di credito: è un intermediario l'agente di assicurazioni, così come una impiegata dell'agenzia o il dipendente di banca quando si trovano a dare informazioni sostanziali all'utente in merito ai servizi della compagnia o della banca medesima.
Le recenti nuove normative in tema di intermediazione impongono all'intermediario di essere costantemente aggiornato sulla propria materia professionale attraverso un determinato numero di ore di formazione. Di queste il 50% può essere svolta attraverso sistemi informatici come l'e-learning.
Chi dovesse contravvenire a queste disposizioni rischia, oltre a sanzioni economiche particolarmente pesanti, anche la radiazione dall'albo professionale.
Da notare che questa formazione deve essere certificata dall'emittente che ha l'obbligo, oltre che di erogarla, di verificare attraverso appositi questionari, l'avvenuta assimilazione dei contenuti.
Compagnie assicurative e Banche, pertanto, hanno commissionato ad esperti consistenti pacchetti di formazione in modalità e-learning su tutti i servizi e prodotti oggetto di trattativa con la clientela.
L'ente pubblico di controllo è l' I.S.V.A.P. l'Istituto di Vigilanza sulle Assicurazioni Private.

venerdì 12 dicembre 2008




Ne' istrice ne' zerbino...
Traggo spunto dalle riflessioni trovate nel blog "Il mio corso di studi" della collega Nadja Zauli
per introdurre il tema della "comunicazione assertiva".
E' nota la insddisfazione di molti utenti, non solo in ambito assicurativo, a causa di comunicazioni poco chiare e comprensibili da parte degli operatori del settore. Spesso ciò è dovuto, oltre alla complessità della materia, anche ad una comunicazione non corretta, impositiva, egocentrica, a volte aggressiva.
Diversamente, con una comunicazione assertiva, i risultati potrebbero essere soddisfacenti per tutti e due i soggetti comunicanti, non un gioco a somma zero (io vinco, tu perdi) ma un gioco a somma variabile.
Riportiamo, qui di seguito, le principali caratteristiche della comunicazione assertiva.
La comunicazione assertiva è un metodo di interazione con gli altri fondato su alcuni elementi quali:
Un comportamento partecipe attivo e non "reattivo".
Un atteggiamento responsabile, caratterizzato da piena fiducia in sé e negli altri
Una piena e completa manifestazione di sé stessi, funzionale all'affermazione dei propri diritti senza la negazione di quelli altrui e senza ansie o sensi di colpa
Un atteggiamento non censorio avulso dall'uso di etichette, stereotipi e pregiudizi
La capacità di comunicare i propri sentimenti in maniera chiara e diretta ma non minacciosa o aggressiva.
Lo stile assertivo si basa sul diritto di essere trattati con rispetto, di essere sé stessi e di essere liberi di credere nei propri valori. Ciascuno di noi ha uno spazio personale che gli altri debbono rispettare, ma quando ne usciamo per muoverci in pubblico, allora dobbiamo rispettare i diritti degli altri.
Un altro importante elemento dello stile assertivo è il senso della responsabilità delle proprie azioni, da intendersi come affermazione e difesa dei nostri diritti accettando le conseguenze delle nostre azioni.
Caratteristiche dello stile assertivo
Il comportamento assertivo si riconosce da alcune espressioni corporali particolarmente aperte, cordiali e coerenti nei vari livelli della comunicazione.Presupposto fondamentale dell'assertività è il saper ascoltare ovvero prestare attenzione non solo al contenuto razionale ma anche a quello emotivo della comunicazione, riassumere e dare feed-back e chiedere chiarimenti.La riduzione dell'ansia e l'emergere delle convinzioni positive conseguenti al comportamento assertivo permettono lo sviluppo e la crescita della fiducia in sé stessi.
La componente verbale
E' bene usare parole che esprimono fiducia in sé stessi e negli altri. A questo scopo è opportuno descrivere il comportamento altrui in maniera non censoria, vale a dire senza imporsi ed evitando giudizi ed ordini categorici.È importante anche evitare di ferire la sensibilità altrui con espressione o giudizio offensivo.
La componente cognitiva
La componente cognitiva comprende tutti i pensieri che condizionano il nostro comportamento. Esistono persone talmente esigenti nei propri confronti da negarsi una possibilità di essere assertivi o che rinunciano a farsi valere per mancanza di fiducia in se stessi sconfinando in atteggiamenti rinunciatari. Sarebbe invece utile l'atteggiamento opposto: credere nella propria capacità di affermarsi e di immaginarsi nell'atto di riuscire.
La componente emotiva
La componente emotiva comprende il livello di emotività e il tono e il volume della voce. È importante trasmettere il proprio messaggio al livello emotivo più adatto alla situazione, perché il tono di voce ha un ruolo decisivo nell'opera di persuasione.
La componente non verbale
La componente non verbale è estremamente importante. Gran parte della comunicazione avviene infatti non verbalmente, e la comunicazione non verbale ha un forte impatto sull'interlocutore. Un'analisi dei vari comportamenti non verbali può essere basata sul contatto visivo, sulle espressioni del volto, sul silenzio, sul tono, volume e inflessione della voce, sui gesti e sul linguaggio del corpo.
Tratto da Enrico Cheli "Teorie e tecniche della cominicazione interpersonale" Franco Angeli 2004

sabato 6 dicembre 2008

Questionario/sondaggio

Qui a fianco, nella colonna di colore verde sotto l'immagine della stretta di mano, troverai un questionario/sondaggio:
inserisci le tue risposte.
Grazie.


Le dimensioni del business assicurativo

Il comparto assicurativo che rappresenta, in Italia, una voce importante dell’economia viene misurato dall’incidenza dei premi raccolti sul totale del PIL (indice di penetrazione assicurativa). Esso supera il 10% negli Stati Uniti, mentre la media ponderata della UE25 è pari all’8,5%. Il divario è ancora più ampio nel settore danni. In questo comparto, il rapporto tra premi e PIL supera il 6% negli Stati Uniti, mentre la media della UE25 è inferiore al 3,5%. Escludendo l’assicurazione auto, che è obbligatoria ovunque, il rapporto è pari al 4,7% negli Stati Uniti, a fronte di una media del 2,2% nella UE25.
L’Italia è uno dei paesi europei in cui l’assicurazione è meno sviluppata. Lo è particolarmente nel settore danni: i premi danni al netto dell’auto sono pari all’1% del PIL, meno della metà rispetto alla media europea, circa un terzo rispetto a Germania e Regno Unito.
La situazione è più articolata nel ramo vita, comparto che ha registrato in Italia una forte crescita negli ultimi anni. A differenza di quanto si è spesso portati a ritenere, il ramo vita non prevede solo la copertura assicurativa in caso di morte dell’assicurato, ma riguarda un ampio spettro di strumenti e prodotti finanziari, in molti casi finalizzati al risparmio di lungo termine.
Oggi il mondo dell’assicurazione attraversa un periodo di grande crescita e di intensa trasformazione in tutti i principali paesi. Tale trasformazione è strettamente correlata alla continua evoluzione del concetto stesso di rischio – determinata dallo scenario di riferimento attuale – che interessa analogamente il mondo delle imprese e i privati cittadini, il settore privato e il settore pubblico. Nelle economie di mercato ogni decisione di natura economica è caratterizzata da una variabile di rischio. Il rischio è quindi una caratteristica imprescindibile e intrinseca agli sviluppi imprenditoriali, all’innovazione e alla crescita. Tuttavia si tratta di una variabile che può essere controllata, gestita o trasferita a terzi. Il settore assicurativo si è imposto grazie alla sua capacità di gestione e trasferimento del rischio, divenendo un partner per coloro che vogliono sviluppare la propria attività imprenditoriale, tutelarsi dal possibile verificarsi di eventi dannosi, garantirsi un ottimale sistema di welfare per il proprio futuro. In questa logica, il sistema assicurativo è sempre più spesso chiamato in causa ove l’istituzione singola – privata o pubblica – non è in grado di far fronte alle nuove dimensioni degli eventi rischiosi (legati ad esempio ai grandi danni, al terrorismo, alla sostenibilità nel lungo termine del modello di welfare, al sostegno delle piccole e medie imprese).
Queste riflessioni inducono pertanto a ritenere che il settore assicurativo, assieme ad altri soggetti privati e investitori istituzionali qualificati, potrà (o meglio dovrà) giocare in futuro un ruolo chiave nel supportare concretamente l’intervento dello Stato su vari fronti, mediante una collaborazione pubblico-privato che tuttavia in Italia ad oggi deve ancora affermarsi, ma che di fatto rappresenta una scelta obbligata.

mercoledì 3 dicembre 2008

Passando ad esaminare aspetti più propriamente finanziari dell’assicurazione possiamo osservare come essa sia una attività industriale dotata di una particolare peculiarità, gli incassi dei premi precedono, nel tempo, gli esborsi del capitale assicurato: un ciclo produttivo inverso dovuto, appunto, dal pagamento anticipato dei premi rispetto all’esecuzione della prestazione genera rilevanti disponibilità liquide destinate ad investimenti regolamentati dall’Autorità di vigilanza. In genere nelle imprese accade esattamente l’opposto: l’imprenditore prima acquista i beni e le materie prime, poi le lavora e produce i beni, poi, vendendo i beni recupera le somme spese per l’acquisto delle materie prime e per i costi di produzione. L’imprenditore assicuratore è invece depositario di somme che sono destinate al futuro ed aleatorio pagamento di capitali al verificarsi dell’evento fortuito assicurato. Questa caratteristica fa sì che la Compagnia assicuratrice possa considerarsi, in una visione ideale, un insieme costituito da tre diverse attività d’impresa: quella assicuratrice in senso stretto, quella dell’azienda di credito ed infine di quella finanziaria: la prima è delegata a gestire nei rami danni e vita la quota di premi necessaria per liquidare i sinistri o le prestazioni di competenza; la seconda svolge l’attività di una vera e propria banca, cioè la capitalizzazione delle residue quote di premi nell’intento di ricavarne il massimo risultato economico possibile; la terza, infine gestisce le disponibilità finanziarie che traggono origine dal patrimonio libero della Compagnia e che non sono collegate agli impegni di debito o credito nei confronti dei contratti di assicurazione.
Per tutto ciò appare chiaro che l’impresa assicuratrice svolge una importante funzione di intermediazione finanziaria, da una parte collettore di risparmio, dall’altra investitore istituzionale di notevole consistenza.
In assicurazioni l’aspetto più tecnico e caratterizzante è quello prettamente matematico. L’assicurato e l’assicuratore fanno una “scommessa equa” su un evento che interessa l’assicurato: valutata la probabilità di questo evento il contraente-assicurato paga un premio quale corrispettivo dell’impegno dell’assicuratore di liquidare un certo importo se l’evento, nei modi e nei tempi convenuti, si verificherà. Ed è chiaro che il “premio” risulterà inferiore, anche molto inferiore rispetto all’importo posto a carico dell’assicuratore, poiché la probabilità del verificarsi dell’evento che fa scattare la liquidazione dell’importo è generalmente abbastanza piccola.
Dicevamo una scommessa equa. L’equità del premio dell’assicurazione è commisurata alla probabilità dell’evento ed all’ammontare del capitale assicurato. Se da questa visione individuale si passa a quella collettiva, della gestione dei premi nel loro complesso, l’impostazione in termini di equità condurrà in base a fondamentali teoremi della probabilità, ad un sostanziale equilibrio fra i premi incassati dall’assicuratore ed i pagamenti a cui è tenuto. Al di là dell’ampiezza di tale problematica il concetto di equità sta proprio nell’equilibrio, in presenza dell’incertezza, fra premi e pagamenti (fra i quali devono essere inclusi quelli di relativi alle spese di gestione dell’attività assicurativa).
Nell’equità non si potrà fare a meno di calcolare ciò che rappresenta una delle colonne portanti del business assicurativo: il conferimento di “sicurezza” al meccanismo di equilibrio. Ciò significa che si dovrà provvedere alla tutela dell’assicuratore contro il pericolo di possibili gravi perdite che lo porterebbero al fallimento, così come alla tutela dell’assicurato che dal fallimento dell’assicuratore vedrebbe compromessa la certezza del risarcimento. Ciò comporta, quindi un supplemento di premio, un “caricamento” di sicurezza con cui i matematici hanno dato risposte scientifiche al problema che riguarda la stabilità della gestione assicurativa: sono state elaborate teorie che giustificano la necessità di “caricamenti di sicurezza” e ne fissano la misura.
Nello specifico le imprese assicuratrici, anche nel rispetto delle normative di legge, dovranno non solo ricorrere alla costituzione di “riserve tecniche”, cioè di somme accantonate per il pagamento dei sinistri nel caso in cui si verifichino gli eventi assicurati, definite “riserva matematica” nel caso del ramo vita e “riserva premi” nel caso del ramo danni, ma anche alla stipulazione di contratti di “riassicurazione” stipulati con apposite compagnie, dette Compagnie di Riassicurazione, nel conseguimento del principio di polverizzazione del rischio: il rischio assunto dalla compagnia viene riassicurato a sua volta con altra compagnia con la medesime modalità del pagamento a quest’ultima di un premio e con la garanzia di ottenere una quota di risarcimento in caso di sinistro. Naturalmente le formule sono molteplici ed assai complesse e danno vita ad un “mercato” riassicurativo nel quale si scambiano innumerevoli contrattazioni in cessione ed in acquisizione. In assenza di riassicurazione nessun grande rischio potrebbe trovare copertura.
La scienza che si occupa di tutti questi aspetti è la scienza attuariale la quale si avvale di due grossi filoni di studio, quello probabilistico e quello finanziario. La figura, generalmente poco nota, che si occupa professionalmente di tali problemi è l’”attuario”: non è un generico studioso della materia, bensì un appartenente ad uno specifico ordine professionale, l’Ordine degli Attuari. Vi si accede, dopo la laurea in scienze statistiche ed attuariali, con il superamento di un esame di Stato di abilitazione all’esercizio della professione.
Qui si innesta nel nostro discorso il tema dell’aspetto economico che deriva dal “bisogno di sicurezza”. Per taluni questo bisogno può essere appagato col risparmio. Accumulando un capitale ed investendolo opportunamente si può certo soddisfare il bisogno di cui si parla. Ma non è una soluzione fruibile da parte di tutti. Piuttosto tale esigenza può essere soddisfatta con l’assicurazione, un “raggruppamento” di persone che presenta lo stesso bisogno di sicurezza e che non è in grado di appagarlo con i soli mezzi individuali. Dall’economista Ulisse Gobbi (Le società di mutuo soccorso. Milano - Società Editrice Libraria, 1909) prendiamo questa definizione: “…l’assicurazione è quella azione economica che ha lo scopo di mettere a disposizione di una persona una ricchezza nel caso in cui si verifichi l’evento che provoca il bisogno della ricchezza stessa”. Si osservi che la definizione riguarda sia l’assicurazione sulla vita che quella contro i danni.
Da una diversa visione, sempre di carattere economico, l’assicurazione può essere pensata come una “cessione di rischio” da parte di un soggetto più “debole” ad un soggetto più “forte”. Il “contraente”, si libera di un rischio cedendolo alla compagnia di assicurazioni, soggetto forte, ed in cambio ad essa paga il “premio”.
Non è facile separare i contenuti sociali da quelli economici e finanziari dell’assicurazione. Certamente le ottiche possono essere diverse ma gli intimi legami che saldano gli uni agli altri ci suggeriscono di affrontarli congiuntamente. L’aspetto sociale delle assicurazioni è fin troppo ovvio. Ed è per questo motivo che il legislatore ha riservato una particolare attenzione al fatto assicurativo, sia a quello sulla vita sia a quello contro i danni. Si deve fare attenzione che l’obiettivo della sicurezza sociale è comune sia alle assicurazioni cosiddette “sociali” gestite dallo Stato o garantite dallo Stato, sia a quelle cosiddette “libere”, gestite dalle imprese assicuratrici che pure sono soggette al rigoroso controllo dello Stato. Per non confondere questioni che sono fondamentali lasciandosi fuorviare dalle etichette sarebbe più opportuno separare le assicurazioni in due grandi classi: quelle obbligatorie per legge e quelle non obbligatorie per legge. Le prime, facendo riferimento al settore previdenziale, sono quelle alle quali il cittadino che eserciti una attività lavorativa non può sottrarsi, o con riferimento alla Responsabilità Civile verso terzi quelle relative alla circolazione su strada con veicoli a motore. Le seconde sono quelle alle quali si aderisce per libera scelta personale.